Jack Penate – Tonight’s today: se esistesse una giustizia in questa Terra, avremmo qui la canzone dell’estate, pronta per l’uso. Ritmi tropicali non provenienti dai tropici, ritornello assassino, la possibilità di darsi un tono parlando di quel giovane cantante, “quello mezzo inglese e mezzo spagnolo”. E non è detto che il colpaccio, a Penate, non riesca con questa deliziosa “Tonight’s today”. Ma in verità nessuno ci crede, anche perché la perfida Albione, per ora ha snobbato questo brano che invece si fa ascoltare spesso e volentieri in Italia. I fan dei tormentoni intelligenti aspettano, e sperano che esista una giustizia in questa Terra.
Paolo Nutini – Candy: l’anagrafe dice Paolo Giovanni Nutini, è qualcuno potrebbe pensare che stiamo parlando del miglior artista italiano mancato. Certo, nulla impedisce alla Atlantic di spacciarlo per “la nuova rivelazione italiana”, così come in un imbarazzante spot radio per Gabriella Cilmi, calabrese di Melbourne. Nel caso di questo songwriter dalla voce roca e dal fascino appena post-puberale, l’origine è toscana. Ma finisce qua. Anglosassone anche più della BBC, onesto, pulito, mai geniale. Scozzese, come i Travis, band che per certi versi lo ricorda. Fran Healy, frontman dei Travis, disse una volta: “non ho mai capito perché siamo diventati famosi: in Scozia suonano tutti così”. Una citazione buona per Nutini il quale, proprio come i Travis, funziona tantissimo.
The Gossip – Heavy cross: Beth Ditto ha dovuto aspettare un po’ troppo per finire sulle radio commerciali italiane. E ci va con un pezzo che non ha poi così tante differenze con il passato, con quella “Standing in the way of control” che fece impazzire e fa ancora impazzire molti. Magie del mercato che nessuno coglie, ma che ci rendono comunque felici di poter parlare di una band filosoficamente indie che è lì a giocarsela con Lady Gaga ed altre amenità. Anche se è legittimo chiedersi: “ma quante Lady Gaga entrano in una Beth Ditto?” E non è solo una questione di stazza. Poco importa, i The Gossip sono arrivati. Era ora.
Eminem – We made you: prima di lui, in troppi avevano seguito la stessa trafila. Troppi “al lupo, al lupo” da parte di rapper annoiati di cantare, annoiati dalla scena, più interessati a produrre che ad esibirsi, e poi puntualmente ritornati in scena con album a svariati zeri, sostenuti da un’attesa spasmodica e non sempre da grande ispirazione. In questo caso però il rapper bianco, l’unico ad essere universalmente stimato nonostante il colore della sua pelle insieme ai strepitosi Beastie Boys stava per mollare sul serio e non per farsi coccolare. Poteva non tornare più. La dipendenza da un cocktail di droga, farmaci e sonniferi lo aveva portato 4 anni di black-out. Ora il ritorno, nel suo stile, forse meno ironico e più noir. “We made you” corona un album decisamente positivo. Eminem si ama o si odia, ma tutti dovrebbero ringraziare la buonasorte che ce lo ha riportato sul palco tutto intero.
Beastie Boys – B boys in the cut: per una strana ironia della sorte, sono proprio questi i giorni in cui inizia a girare il nuovo singolo dei Beastie Boys, nell’album del trentennale, “Hot Sauce Committee”. L’altra formazione bianca stimata da tutti nel mondo del rap e dell’hip hop torna alle liriche dopo “the Mix up” (2007), un album strumentale che lasciò di stucco fan e addetti ai lavori (un album rap senza testi è difficile da comprendere, obiettivamente). Il quartetto ebreo di New York non fa un grosso passo in avanti dal punto di vista dell’originalità, ma l’attesa per il nuovo album è tale e tanta (il titolo potrebbe non essere definitivo, è verosimile che i Beastie abbiano registrato un sacco di materiale e che venga fuori un doppio lavoro nel giro di pochi mesi) che c’è da sperare nel ritorno alle scene di una pietra miliare, soprattutto dal punto di vista culturale, della musica contemporanea.
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