Chiudo l’ufficio. Chiudo il 2017.
Non so precisamente a che punto del mio viaggio professionale mi trovo. So solo di essere molto distante dal punto in cui ero dodici mesi fa.
Ho passato l’anno complicato, oscuro, poco visibile, di piena gavetta (forse mai così tanta, finora) che mi aspettavo di vivere. Ho la sensazione, non ancora suffragata da alcuna evidenza empirica, di aver superato una bella montagna e di iniziare a vedere l’orizzonte in lontananza. Ma ho il fiatone, emagari è solo un miraggio. Quindi non è ancora il momento di festeggiare.
Di questo 2017 lavorativo porto con me un piccolo (bugia, è grandissimo) motivo d’orgoglio: aver riconosciuto le due o tre cose che ti fanno diventare workaholic (dipendente dal lavoro), averle isolate, averle combattute. E averle vinte, spero. (Sì, non mi piace avere dipendenze). Provo a dirvi ciò da cui ci si deve liberare secondo me:
1. È arrivato un momento in cui mi sono reso conto che anche se fossi stato in ufficio 24 ore su 24 non sarei stato comunque capace di fare tutto quello che ci sarebbe da fare. Quando sono arrivato a questa consapevolezza ho immediatamente fatto il passo successivo: se non puoi fare tutto è anche inutile provarci, a fare tutto. Alla cieca dedizione devono subentrare altre competenze non meno importanti: la capacità di discriminare. Di delegare. Di riconoscere le priorità. E di iniziare a considerare il tempo libero come qualcosa che non si può erodere, come un cuscinetto a cui non si deve attingere per incapacità di separare il tempo della vita da quello del lavoro. Come un dovere, quasi più dovuto del lavoro. Lavorare mi piace ancora molto, ma mi piace ancora di più pensare al lavoro come qualcosa che faccio tra un momento e l’altro di tempo libero. Provate a rovesciare questo sistema di priorità, e la vita cambia. A me sta cambiando.
2. Il mondo va avanti anche senza di me. Troverà altri metodi, forse si incepperà un attimo, o forse al contrario andrà meglio di prima. A quel punto si può scoprire che il rallentamento sta nei propri errori, nelle manie di controllo, nell’incapacità di fidarsi degli altri, nell’accumulo di stanchezza su stanchezza, che fa prendere decisioni progressivamente e inevitabilmente peggiori. Fino, per l’appunto, alla dipendenza da lavoro. Liberarsi dall’idea di essere indispensabili è bellissimo, utile, necessario.
Aspettando l’ispirazione (o più semplicemente il 31 dicembre) per mettere insieme i buoni propositi per l’anno nuovo, chiudo il mio 2017 lavorativo augurando di trovare un lavoro stabile e dignitoso a chi se lo merita ma non ce l’ha ancora, e a liberarsi dalla dipendenza dal lavoro a chi ne è affetto. Ci sono riuscito io, e quindi ci può riuscire chiunque.