Scrivere è facile. Scrivere bene è difficile. Scrivere qualcosa di utile è difficilissimo. Avere l’umiltà di leggere quando si sa scrivere è praticamente impossibile.
Due mesi fa avrei voluto scrivere una fotografia sulla mia ritrovata passione per la scrittura. Ho passato agosto a pubblicare post dovunque, a studiarmi la crisi finanziaria, a pontificare su qualsiasi cosa mi emozionasse. Ora mi sento molto distante da quello stato d’animo.
Pensavo che scrivere tanto fosse prima di tutto un atto ‘di servizio’: serve raccontare anche ciò che è già stato detto, magari provare a dirlo meglio, a più persone. Con l’estate, poi, è emerso un tipico tratto difettoso del mio carattere, un mix di superomismo e carattere del panchinaro. Sono tutti in ferie, pensavo io; qualcuno dovrà pur raccontare ciò che accade. Potevo farlo, perché non ero isolato né mentalmente né dagli strumenti di comuniczione, e l’ho fatto. E forse lo rifarò pure l’anno prossimo. E lo rifarò tutte le volte in cui gli altri sono altrove, perché penso che sia utile ai lettori.
Quell’agosto mi ha restituito la mirabile qualifica di ‘grafomane’. Una qualifica che disturba anche i sonni di qualcuno: sabato sera un noto giornalista pugliese di carta stampata mi ha raccontato di avermi sognato. Di aver sognato di uccidermi. Ma non in modo violento, piuttosto sadico: ha immaginato di vedermi soffocato sotto i miei post di Facebook, trasformati in fogli di carta. Un foglio per post, uno spaventoso muro di stupidaggini che tolgono l’aria.
Il giornalista della carta stampata potrà smettere di sognarmi. Sto provando a scrivere di meno e a leggere di più. Meno Facebook e più Twitter. Meno pulpito e più condivisione, meno pianificazione dei post, più testi scritti di getto. Unica eccezione: quando qualcuno ritiene che io debba dire qualcosa su un qualsiasi argomento e io me la sento, non dico di no.
Meno quantità, più qualità. Sempre che sia in grado.