Sabato ero in auto verso nord e mi stavo premiando con una delle grandi gioie della vita: il podcast della puntata del giovedì del programma serale di Annie Mac su BBC Radio1.
A un certo punto Annie ha ricordato che giovedì 4 luglio 2019 è stato il venticinquesimo anniversario dall’uscita di ‘Music For The Jilted Generation’ dei Prodigy. E lo definisce un album ‘seminale’. Seminale è uno degli aggettivi che apprezzo meno della lingua italiana, forse anche perché viene spesso usato a sproposito, ma credo di aver capito il senso di ciò che si stava provando a sostenere: quell’album, il cui titolo (“musica per la generazione rifiutata”) e la cui sottostante ambizione lasciava già intendere che i suoi autori fossero consapevoli di ciò che avevano appena lasciato ai posteri, ha rappresentato uno spartiacque per la storia recente della musica.
Incidentalmente, quell’album è il mio preferito di uno dei gruppi che ha maggiormente inciso sul mio gusto musicale. E il suo ricordo era stato evocato in radio dalla persona che ha maggiormente inciso sul mio gusto musicale negli ultimi cinque anni, una strepitosa dj irlandese.
A quel punto ho mollato Annie, ho sfruttato una stazione di servizio per fermare la macchina e far benzina, sono andato su Spotify e ho fatto una cosa che non facevo da almeno 12-13 anni: riascoltare “Music For The Jilted Generation” dal primo all’ultimo secondo. E l’ho trovato forse ancora più straordinario oggi rispetto a quando lo ascoltavo da adolescente.
‘Voodoo People’, il pezzo che Annie ha usato per evocare l’anniversario, è idealmente l’inno (inter)nazionale di tutti i rave party del mondo. Ed è ancora, a 25 anni di distanza dalla sua uscita, quella canzone che la radio M20 usa per i suoi jingle.
‘No Good’ è il singolo che qualsiasi gruppo che smanetta con l’elettronica avrebbe voluto scrivere.
‘Their Law’ è il primo tentativo dell’era moderna (almeno che io ricordi) di fondere gli strumenti musicali con i sintetizzatori.
‘Poison’ continua a spaccare le casse come sempre.
Keith Flint era “solo” uno straordinario performer, e non il “cantante dei Prodigy”. Non c’era ancora MTV, il successo planetario, l’iconica bandiera degli Stati Uniti indossata proprio da Keith nel video di Firestarter, gli scarafaggi nel video di Breathe e non era ancora uscito quell’assoluto e (giustamente premiato) capolavoro del video di Smack My Bitch Up, un inno sbilenco ma non per questo meno onesto e soprattutto efficace all’emancipazione femminile.
‘Jilted’ è la consacrazione eterna di Liam Howlett, l’uomo dei suoni dei Prodigy, nonché l’uomo che negli anni ’90 mi faceva ritenere ‘Liam’ uno straordinario nome, anche grazie alla coincidenza anagrafica con un signore di Manchester che suona il tamburello e che canta senza mai prendere un microfono tra le mani.
(alla costruzione di questa personale mitologia ha molto contribuito il fatto che Liam Howlett e Liam Gallagher, a un certo punto, si fidanzarono con le due sorelle Appleton delle All Saints. Ancora oggi mi chiedo cosa facessero nelle loro uscite a quattro, ma dubito giocassero a burraco)
Complice il viaggio solitario in auto ho cercato di tornare indietro con la testa e di ricordarmi chi fossi io quando Spotify non c’era, non c’erano neanche gli MP3 e l’ascolto di un album non era semplicemente la decisione dettata dal desiderio del momento, ma una scelta molto definita. E mi sono ricordato le mie decine di passeggiate a piedi tra la mia casa al quartiere Libertà e il liceo Scacchi. Io, alle 8 di mattina, con un lettore CD con al massimo un paio d’ore di autonomia, che saltellavo tra i Prodigy, Squarepusher e Aphex Twin. Mi sottoponevo a suoni da cui oggi mi terrei alla larga a quell’ora del mattino, per ascoltare musicisti che in fondo inneggiavano a mondi e a stili di vita in cui non mi sono mai pienamente riconosciuto.
Mi isolavo, esattamente come continuo a fare oggi ogni volta che mi è possibile. E sperimentavo già allora la più grande contraddizione del mio carattere, quella faglia che (come gran parte delle faglie) è anche uno dei principali motori di energia: mi piace tantissimo aiutare gli altri, ma mi piace almeno quanto mi piace stare per i fatti miei. Certe volte dico a me stesso, prendendomi per il culo, che mi piacerebbe aiutare le persone a stare meglio senza che sia necessario conoscerle. Ovviamente è un controsenso, che però non proverò a risolvere perché mi piace che rimanga lì a fare la sua parte.
C’è un’altra cosa che non è mai cambiata in questi venticinque anni e su cui ho riflettuto molto in questi giorni (anche in seguito a una chiacchierata con mio padre di qualche giorno fa), di cui certamente non ero consapevole da ragazzino e che oggi spiega molti dei miei comportamenti pubblicamente percepiti come bizzarri: la totale allergia al concetto di autorità, soprattutto se separata dal concetto di autorevolezza. Questo caposaldo della mia formazione personale, lo dico col senno di poi, forse spiega perché alle scuole medie sono riuscito a essere punito per motivi comportamentali (e a prendere ‘medio’ invece che ‘ottimo’ come valutazione finale), perché tuttora faccio le barricate per difendere il mio diritto a vestirmi di merda, o perché all’Università sono riuscito a lavorare sulla tesi di laurea triennale con una docente che ho apertamente contestato in pubblico alla sua seconda lezione – la vera lezione, quella che mi porto dietro ogni giorno, fu la sua reazione, di enorme apertura alla valutazione critica del proprio lavoro, al punto da avermi permesso, per l’appunto, di fare la tesi con lei. Quando mi chiedete da dove trovo la pazienza nel rispondere ai commenti sui social: qui c’è una possibile spiegazione).
Alla fine, signore e signori, diciamoci la verità: per quanto sia riconosciuto come una persona calma e paziente, sono in fondo un cazzo di riottoso. Sarà anche per quel motivo, oltre che per quella straordinaria invenzione della natura che è la memoria a lungo termine, se dopo quasi 15 anni di mancata stimolazione neuronale sono riuscito a intercettare l’esatto momento in cui, a circa 10 minuti dall’inizio del viaggio musicale di ‘Jilted’, era il momento di seguire l’audio che proveniva dalle casse per urlare, a squarciagola mentre in auto, in viaggio da solo in un sabato di luglio: FUCK THEM, AND THEIR LAW.
(per chi non avesse mai ascoltato ‘Music For The Jilted Generation, o avesse voglia di ricordare i vecchi tempi com’è accaduto a me sabato scorso. Lo trovate qui: https://open.spotify.com/album/3HpFr2EeE38hr706Rxtmjy…. Ovviamente vi deve piacere un pochino il genere, ma in tal caso: sono 80 minuti di una qualità che forse non è più stata raggiunta di nuovo)
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