Archivio | Senza Categoria RSS feed for this section

Da grande

7 Apr

Quando sarò grande, voglio essere un bambino.

(Joseph Heller)

È perché non hai idea

25 Gen

Se credi che un professionista ti costi troppo, è perché non hai idea di quanto ti costerà alla fine un incompetente.

(anonimo)

Dal riflettere

21 Dic

Dubitare di tutto o credere a tutto sono due soluzioni egualmente comode che ci dispensano, l’una come l’altra, dal riflettere.

(Jules Henri-Poincaré)

Citazione

Lavorare e seminare

24 Ago

Adoro seminare quando gli altri sono a lavoro e lavorare mentre gli altri dormono.

(Austin Kleon)

Il sarto

28 Mag

Il solo uomo davvero dotato di sensibilità che ho incontrato in vita mia era il mio sarto: mi prendeva le misure tutte le volte che mi vedeva, mentre tutti gli altri mantenevano le vecchie misure e si aspettavano che io mi ci adattassi.

(George Bernard Shaw)

Ridevano

27 Nov

Ridevano di Edison,
ridevano di Fulton,
e rideranno di ogni pazzo senza speranza.

(Aaron Haspel)

Fotografia dell’8 luglio 2019 – Music for the Jilted Generation

8 Lug

Sabato ero in auto verso nord e mi stavo premiando con una delle grandi gioie della vita: il podcast della puntata del giovedì del programma serale di Annie Mac su BBC Radio1.

A un certo punto Annie ha ricordato che giovedì 4 luglio 2019 è stato il venticinquesimo anniversario dall’uscita di ‘Music For The Jilted Generation’ dei Prodigy. E lo definisce un album ‘seminale’. Seminale è uno degli aggettivi che apprezzo meno della lingua italiana, forse anche perché viene spesso usato a sproposito, ma credo di aver capito il senso di ciò che si stava provando a sostenere: quell’album, il cui titolo (“musica per la generazione rifiutata”) e la cui sottostante ambizione lasciava già intendere che i suoi autori fossero consapevoli di ciò che avevano appena lasciato ai posteri, ha rappresentato uno spartiacque per la storia recente della musica.

Incidentalmente, quell’album è il mio preferito di uno dei gruppi che ha maggiormente inciso sul mio gusto musicale. E il suo ricordo era stato evocato in radio dalla persona che ha maggiormente inciso sul mio gusto musicale negli ultimi cinque anni, una strepitosa dj irlandese.

A quel punto ho mollato Annie, ho sfruttato una stazione di servizio per fermare la macchina e far benzina, sono andato su Spotify e ho fatto una cosa che non facevo da almeno 12-13 anni: riascoltare “Music For The Jilted Generation” dal primo all’ultimo secondo. E l’ho trovato forse ancora più straordinario oggi rispetto a quando lo ascoltavo da adolescente.

‘Voodoo People’, il pezzo che Annie ha usato per evocare l’anniversario, è idealmente l’inno (inter)nazionale di tutti i rave party del mondo. Ed è ancora, a 25 anni di distanza dalla sua uscita, quella canzone che la radio M20 usa per i suoi jingle.

‘No Good’ è il singolo che qualsiasi gruppo che smanetta con l’elettronica avrebbe voluto scrivere.

‘Their Law’ è il primo tentativo dell’era moderna (almeno che io ricordi) di fondere gli strumenti musicali con i sintetizzatori.

‘Poison’ continua a spaccare le casse come sempre.

Keith Flint era “solo” uno straordinario performer, e non il “cantante dei Prodigy”. Non c’era ancora MTV, il successo planetario, l’iconica bandiera degli Stati Uniti indossata proprio da Keith nel video di Firestarter, gli scarafaggi nel video di Breathe e non era ancora uscito quell’assoluto e (giustamente premiato) capolavoro del video di Smack My Bitch Up, un inno sbilenco ma non per questo meno onesto e soprattutto efficace all’emancipazione femminile.

‘Jilted’ è la consacrazione eterna di Liam Howlett, l’uomo dei suoni dei Prodigy, nonché l’uomo che negli anni ’90 mi faceva ritenere ‘Liam’ uno straordinario nome, anche grazie alla coincidenza anagrafica con un signore di Manchester che suona il tamburello e che canta senza mai prendere un microfono tra le mani.

(alla costruzione di questa personale mitologia ha molto contribuito il fatto che Liam Howlett e Liam Gallagher, a un certo punto, si fidanzarono con le due sorelle Appleton delle All Saints. Ancora oggi mi chiedo cosa facessero nelle loro uscite a quattro, ma dubito giocassero a burraco)

Complice il viaggio solitario in auto ho cercato di tornare indietro con la testa e di ricordarmi chi fossi io quando Spotify non c’era, non c’erano neanche gli MP3 e l’ascolto di un album non era semplicemente la decisione dettata dal desiderio del momento, ma una scelta molto definita. E mi sono ricordato le mie decine di passeggiate a piedi tra la mia casa al quartiere Libertà e il liceo Scacchi. Io, alle 8 di mattina, con un lettore CD con al massimo un paio d’ore di autonomia, che saltellavo tra i Prodigy, Squarepusher e Aphex Twin. Mi sottoponevo a suoni da cui oggi mi terrei alla larga a quell’ora del mattino, per ascoltare musicisti che in fondo inneggiavano a mondi e a stili di vita in cui non mi sono mai pienamente riconosciuto.

Mi isolavo, esattamente come continuo a fare oggi ogni volta che mi è possibile. E sperimentavo già allora la più grande contraddizione del mio carattere, quella faglia che (come gran parte delle faglie) è anche uno dei principali motori di energia: mi piace tantissimo aiutare gli altri, ma mi piace almeno quanto mi piace stare per i fatti miei. Certe volte dico a me stesso, prendendomi per il culo, che mi piacerebbe aiutare le persone a stare meglio senza che sia necessario conoscerle. Ovviamente è un controsenso, che però non proverò a risolvere perché mi piace che rimanga lì a fare la sua parte.

C’è un’altra cosa che non è mai cambiata in questi venticinque anni e su cui ho riflettuto molto in questi giorni (anche in seguito a una chiacchierata con mio padre di qualche giorno fa), di cui certamente non ero consapevole da ragazzino e che oggi spiega molti dei miei comportamenti pubblicamente percepiti come bizzarri: la totale allergia al concetto di autorità, soprattutto se separata dal concetto di autorevolezza. Questo caposaldo della mia formazione personale, lo dico col senno di poi, forse spiega perché alle scuole medie sono riuscito a essere punito per motivi comportamentali (e a prendere ‘medio’ invece che ‘ottimo’ come valutazione finale), perché tuttora faccio le barricate per difendere il mio diritto a vestirmi di merda, o perché all’Università sono riuscito a lavorare sulla tesi di laurea triennale con una docente che ho apertamente contestato in pubblico alla sua seconda lezione – la vera lezione, quella che mi porto dietro ogni giorno, fu la sua reazione, di enorme apertura alla valutazione critica del proprio lavoro, al punto da avermi permesso, per l’appunto, di fare la tesi con lei. Quando mi chiedete da dove trovo la pazienza nel rispondere ai commenti sui social: qui c’è una possibile spiegazione).

Alla fine, signore e signori, diciamoci la verità: per quanto sia riconosciuto come una persona calma e paziente, sono in fondo un cazzo di riottoso. Sarà anche per quel motivo, oltre che per quella straordinaria invenzione della natura che è la memoria a lungo termine, se dopo quasi 15 anni di mancata stimolazione neuronale sono riuscito a intercettare l’esatto momento in cui, a circa 10 minuti dall’inizio del viaggio musicale di ‘Jilted’, era il momento di seguire l’audio che proveniva dalle casse per urlare, a squarciagola mentre in auto, in viaggio da solo in un sabato di luglio: FUCK THEM, AND THEIR LAW.

(per chi non avesse mai ascoltato ‘Music For The Jilted Generation, o avesse voglia di ricordare i vecchi tempi com’è accaduto a me sabato scorso. Lo trovate qui: https://open.spotify.com/album/3HpFr2EeE38hr706Rxtmjy…. Ovviamente vi deve piacere un pochino il genere, ma in tal caso: sono 80 minuti di una qualità che forse non è più stata raggiunta di nuovo)

Non esiste ascia

14 Apr

Il mondo è dunque più forte di me. Al suo potere non ho altro da opporre che me stesso — il che, d’altra parte, non è poco. Finché infatti non mi lascio sopraffare, sono anch’io una potenza. E la mia potenza è temibile finché ho il potere delle mie parole da opporre a quello del mondo, perché chi costruisce prigioni s’esprime meno bene di chi costruisce la libertà. Ma la mia potenza sarà illimitata il giorno in cui avrò solo il mio silenzio per difendere la mia inviolabilità, perché non esiste ascia capace di intaccare un silenzio vivente.

(Stig Dagerman)

Fotografia del 3 marzo 2019 – 3 marzo, 4 marzo

3 Mar

Sono a casa, a guardare un programma che parla di politica.
Esattamente come un anno fa meno un giorno.
In quest’anno mi è successo praticamente di tutto.

Il 4 marzo 2018 è stata una giornata molto triste, per me e chiaramente non solo per me. La botta è stata forte, di portata storica. Una botta che dal punto di vista politico si rimargina in anni, forse dieci come provavo a spiegare qualche giorno dopo sul mio profilo Facebook. Il primo istinto che ho avuto dopo quella botta è stato ricominciare tutto da capo, fare tutti i passi indietro che si potevano fare. Ascoltare e capire. Per quello mi sono messo in cammino e ho girato decine di circoli del PD e della sinistra tutta. Per raccontare il mio lavoro ma sopratutto per cercare di capire cosa fosse rimasto in mezzo alle macerie. Ho trovato sempre lo stesso scenario, in tutte le Regioni: tristezza ma voglia di fare qualcosa. Tanta voglia. Per questo non sono troppo sorpreso dell’affluenza delle Primarie di oggi. Per questo non ho mai smesso di essere ottimista. C’è un popolo che è più grande del partito, mi spiegarono al PD di Fiesole. Avevano ragione, oggi è evidentissimo.

Non ho partecipato, da lavoratore, alle Primarie del PD dopo aver contribuito alle ultime tre (Bersani 2009, Renzi 2013, Renzi 2017), in forme e in contesti ogni volta diversi. I motivi di questa non-partecipazione sono stati molti, ma sono contento per una volta di essere stato un semplice elettore e un ancor più semplice spettatore. Complimenti a chi ci ha lavorato, a prescindere dai risultati di ciascuna mozione.

Il PD ci ha messo davvero troppo a celebrare questo congresso, ma finalmente è arrivato. Ci arriva ferito ma non morto. Ci arriva dopo un anno in cui si è fatto qualcosa come opposizione ma troppo poco come alternativa, come proposta di paese, come visione della società. Quel popolo, più grande e spesso più lungimirante del partito, ha aspettato per un anno, giustamente sbuffando ma non scomparendo del tutto. Da domani, comunque la si pensi, non si può più stare nel mondo senza aver restituito questa visione agli italiani.

Non ho mai pensato che l’alleanza col M5S fosse la soluzione. Un partito che è stato dentro maggioranze non elettorali per quattro volte di seguito e che era stato punito anche per quello doveva restare fuori. Per (sua) fortuna lo ha fatto. Il quadro politico è allarmante, certo. Il comportamento del M5S ha contribuito al peggioramento del quadro e contemporaneamente ha dimostrato che restare fuori fosse (secondo me) l’unica opzione possibile. Nel frattempo il 2019 sta mostrando che ciò che è successo al PD (e a chi ci ha lavorato) può succedere a chiunque, in qualsiasi momento. Anche a chi è più bravo di me. Oggi è stato lanciato un messaggio anche da quel punto di vista. Non serviva un partito aggrappato al potere pur di non morire. Serviva uno spostamento del suo baricentro. Serviva rimettere in gioco i vecchi arnesi, la sinistra e la destra. Arnesi che (mi siete testimoni) non ho mai smesso di maneggiare. Salvini lo ha fatto senza paura. Ora è il PD, con altrettanta sfrontatezza, a doverlo fare.

È passato un anno dal 4 marzo 2018. Non mi illudo che la giornata di oggi basti. Non dimentico che alle Primarie del Partito Socialista in Francia del gennaio 2017 andarono a votare due milioni di persone, e poi Hamon prese il 6% alle Presidenziali. Sarebbe sbagliato pensare che il difficile è alle spalle. Il difficile è tutto attorno. Ma oggi è stato fatto un passo importante. Ieri, con la forte e colorata piazza di Milano, ne è stato fatto un altro. E per qualche ora è giusto goderselo.

Fin qui il lato parzialmente pubblico.

Per una strana beffa della sorte, il 4 marzo 2018 è stato però anche il primo giorno in cui ho vissuto da solo. Non lo avevo mai fatto. Non era previsto. Ma è successo. La prima cosa che ho fatto una volta tornato qui a casa è stata proprio scontrarmi con il voto politico del 2018. Dopo un anno la casa non è andata in fiamme, e tutto sommato non è andata neanche a pezzi. Ho imparato le cose essenziali. Non ho stinto neanche una t-shirt, non ho dovuto rilavare neanche una felpa perché puzzava di umido, mi hanno anche insegnato a fare la lavastoviglie ma già non mi ricordo come si fa perché avrò cucinato sì e no 7 volte in un anno (e in un centinaio di volte neanche ho dormito a casa mia). La casa è umida, come lo è sempre stato (un piano terra a 50 metri dal mare), ed è un po’ spoglia. Dietro di me in questo momento c’è un quadro con una grande foto della protesta di Piazza Tienanmen. Un singolo uomo che blocca i carrarmati. Chi mi conosce un po’ e conosce il mio carattere sa perfettamente perché ho deciso di montare questo quadro pochi giorni dopo l’inizio della mia vita solitaria. Di fronte a me c’è un quadro con una foto di due sconosciuti che si baciano. È un regalo per questo mio capodanno anomalo. È un simbolo che viene dal futuro. A sinistra, sopra la tv, c’è Amy Winehouse. A destra c’è una libreria. Non ci sono gatti, purtroppo, ma soffrirei a lasciarli soli per tanto tempo. La casa è un po’ spoglia, per mia pigrizia, per minimalismo. E perché ho provato a comprarla ma non ci sono riuscito. Ve l’ho detto che è stato un anno in cui è successo praticamente di tutto…

E poi c’è stata la vita privata, che rimarrà privata. Anche quella, fin troppo movimentata. Ma anche qui, come per tutto ciò che vi ho raccontato, le cose si stanno rimettendo al loro posto.

Arrivo al 4 marzo 2019 forte di una consapevolezza: nessuna ferita della testa e del cuore è inutile. Forse è la stessa consapevolezza che potrà avere il popolo (ben più largo di ciò che i sondaggi possono attualmente rilevare) del centrosinistra dopo questo weekend.

In bocca al lupo al PD. In bocca al lupo all’Italia. E in bocca al lupo anche a me.

Non ho più voglia di sentire storie

13 Gen

Non ho più voglia di sentire storie. Vorrei che ognuno mi parlasse della sua verità, quella verità che non abbiamo paura di rivelare a uno sconosciuto il cui giudizio non ci interessa. Vorrei che la gente mi parlasse come se non contassi niente. Tutti noi ci portiamo dentro i dolori più ancestrali del mondo, abbiamo tutti sepolta nell’animo la storia del mondo. E questo mondo, lo soffochiamo con le chiacchiere. Abbiamo tutti in noi un silenzio assordante che pure dice più di tutto quello che ci possiamo raccontare. Sono parole purificate dalle nostre verità quelle che spero di sentire un giorno. Io desidero una cosa sola, che le parole si purifichino fino al silenzio.

(David Thomas)