Tag Archives: comunicazione

Dal riflettere

21 Dic

Dubitare di tutto o credere a tutto sono due soluzioni egualmente comode che ci dispensano, l’una come l’altra, dal riflettere.

(Jules Henri-Poincaré)

Ti fermi e ti accorgi

28 Giu

Tu sali sul palco, hai dinnanzi, come ce le ho avute, piazze piene di gente. È un po’ una sceneggiata, un atto teatrale: i saluti, la presentazione, gli evviva, le bandiere. Tutto questo, però, è come l’involucro. Poi comincia una cosa molto più difficile e profonda: tu che stai là sopra riuscirai a comunicare veramente? Lo scopri solo se c’è un momento, del comizio, del tuo discorso, in cui senti che ti puoi fermare, senza nemmeno finire la frase. Ti fermi e ti accorgi che la piazza non si muove perché aspetta il seguito della tua frase. Se in quel momento ti accorgi che ti puoi fermare, bere un bicchiere d’acqua, soffiarti il naso o non fare nulla, e la piazza sta ferma a sentire, allora vuol dire che si è creato un filo, una comunicazione, un legame, tanto forte quanto impalpabile, tra te e le persone.

(Pietro Ingrao)

Si urlano addosso

7 Mar

La triste verità è che moltiplichiamo gli strumenti di comunicazione per ignorare la nuda realtà. Gli esseri umani non comunicano. Si urlano addosso parlando di sé stessi.

(Vittorio Zambardino)

Resistenza al presente

17 Ott

Non ci manca certo la comunicazione. Anzi ne abbiamo troppa: ci manca la creazione. Ci manca la resistenza al presente.

(Gilles Deleuze)

Fotografia del 29 ottobre 2012 – sette minuti di lezione

29 Ott

Non mi era mai capitato di rivedermi durante una lezione. Eccoci qua.

Fotografia del 13 luglio 2012 – La comunicazione è una parola precaria

13 Lug

La comunicazione è una parola precaria.

Lavorare nella comunicazione vuol dire accettare l’idea di convivere con una precarietà ‘esistenziale’. Può essere commerciale, istituzionale o politica: cambia poco. Bisogna avere una buona idea, spesso più di una. In tempi spesso stretti. Non si può dire ‘non lo so fare’, bisogna provarci.

Ogni volta che si è chiamati a fare il proprio lavoro, si entra in una dimensione precaria. A stimolo non sempre corrisponde risposta uguale, e l’incertezza è la porta di accesso privilegiata alla precarietà.

La creatività non è quasi mai una linea retta, soprattutto se si considera che la buona comunicazione non è quella ‘bella’ o memorabile, ma quella che produce cambiamento, qualsiasi cambiamento, dalla cinica attivazione del comportamento d’acquisto all’ideale attivazione sociale per il bene comune.

La buona idea, poi, neanche basta. La buona comunicazione è quella che sa estrarre la creatività da uno spazio chiuso, quello dei dati statistici, degli obiettivi di marketing e delle aspettative del tuo interlocutore. Bisogna sperare che piaccia al cliente e che non cambi idea in corsa. Bisogna essere pronti a cambiare, sempre. Anche controvoglia. E soprattutto bisogna essere pronti ad accettare l’idea di dover rimescolare le carte più e più volte. Perché cambia il contesto, o il mercato, e dunque le idee possono diventare rapidamente, e improvvisamente, vecchie.

I comunicatori sono precari di mestiere, ed è facile immaginare quanto questo possa essere vero nei periodi di crisi economica. Quali sono le prime spese che un’azienda taglia? Quelli (apparentemente) non necessari: la ‘pubblicità’, perché prima ci sono gli stipendi dei dipendenti e i fornitori da pagare. Meno soldi, più ansia, più fretta, più vincoli, più precarietà.

Il comunicatore precario per eccellenza è, però, il comunicatore politico. Si può vincere le elezioni senza alcun merito, se il candidato con cui si lavoro è favorito o se l’avversario è debole. E in quel caso, nessuno ti riconoscerà (giustamente) alcun merito.

Il rovescio della medaglia, però, è che si può perdere senza alcun demerito, magari dopo una rimonta clamorosa che si ferma, però a un passo dal traguardo. E a quel punto la bravura, la buona idea, l’approvazione del politico non bastano. Hai perso. E diventi come gli allenatori che arrivano secondi: precari, se non addirittura disoccupati.

(testo scritto per il libro ‘Senza Paracadute – Diario tragicomico di un giornalista precario’ di Antonio Loconte)

Il mio amico Fabio, che stimo molto

5 Mar

Detesto il tuo mestiere.

 

(Fabio Chiusi)

Le lezioni quotidiane dei segnali deboli

20 Ott

La cosa più importante in comunicazione è ascoltare ciò che non è stato detto.

(Peter Drucker)

Ammazza

5 Ott

Oggi, per instaurare un regime, non c’è più bisogno di una marcia su Roma né di un incendio del Reichstag, né di un golpe sul Palazzo d’Inverno. Bastano i cosiddetti mezzi di comunicazione di massa: e fra di essi, sovrana e irresistibile, la televisione. […]

Il risultato è scontato: il sudario di conformismo e di menzogne che, senza bisogno di leggi speciali, calerà su questo Paese riducendolo sempre più a una telenovela di borgatari e avviandolo a un risveglio in cui siamo ben contenti di sapere che non faremo in tempo a trovarci coinvolti.

(Indro Montanelli, 1994)

La bomba Wikipedia

5 Ott

Fedele alla sua incrollabile fiducia nell’economia e nella produzione, la sinistra non crede che cultura e comunicazione possano influire più che marginalmente sulla mentalità dell’elettorato.

 

(Carlo Freccero)