Tag Archives: Stati Uniti

Fotografia del 14 aprile 2014 – In volo

14 Apr

Scrivo questo post da un aereo, da un Ryanair Bari-Bergamo. E lo posto dal lato passeggero di un automobile. Chiedo anticipatamente scusa per la poca linearità dei concetti, che però tenevo a condividere sul mio blog personale, a favore dei miei amici e dei miei lettori. E chiedo scusa per i refusi, che correggerò (segnalatemeli).

È il 14 aprile e sto andando a Brescia a fare una cosa che intimamente dovrebbe riempirmi d’orgoglio (e lo fa, ma va detto a voce molto bassa), ma che pubblicamente mi crea un misto di stupore e imbarazzo.

Sto andando in un collegio universitario a parlare di me. Non delle mie slide, della comunicazione politica, di tutte le tabelle e i dati che amo snocciolare quando mi chiamano a fare docenze, seminari, o aperitivi rinforzati a base di politica.

Sto andando a parlare di me perché mi hanno invitato a parlare di me, ed è questo che mi imbarazza e mi stupisce, perché è un periodo in cui la mia autostima professionale (vi sembrerà assurdo) è in calo. Mi sento uno qualsiasi, senza alcun particolare valore aggiunto, facilmente sostituibile.

Io non sono un idraulico, non sono indispensabile. Finalmente me ne sono accorto, ed è un gran bene, ma certe volte il passaggio dalla liberazione dalle tue aspettative irrealistiche al “cosa ci faccio qui?” è molto sottile e fragile.

Eppure, c’è qualcuno che pensa che la storia della mia vita possa servire a studenti alla ricerca della loro strada, e dunque eccomi qui, saltellando tra un aereo e l’altro, con la sveglia puntata alle 5 di domattina in modo da essere in ufficio alle 11 e salvarmi così dal cazziatone dei miei capi (che giustamente mi vorrebbero anche un po’ tra loro, dato che mi pagano).

Il 14 aprile 2013 ero su un aereo, un Delta Airlines (se non ricordo male) Roma-Washington DC. Andavo a partecipare all’esperienza formativa più clamorosa della mia vita, l’International Visitor Leadership Program del Dipartimento di Stato americano.

È stata una cosa che intimamente mi ha riempito d’orgoglio (e questo è genericamente più accettabile), ma che pubblicamente mi creò un misto di riconoscenza nei confronti di chi mi volle lì, e generale percezione di inadeguatezza. Il mio inglese zoppicante e un curriculum solido, ma non ancora così solido come quello della gran parte dei miei compagni di viaggio, mi fece sentire ancora una volta, uno dei tanti. Un’altra liberazione, anche al di là dell’Oceano, ma ancora una volta quella stessa sensazione di “cosa ci faccio qui?” a cui riuscii a dare una risposta molto semplice e banale: a imparare, con avidità, cosa vuol dire stare al mondo.

Non credo né nella fortuna né nel caso né in qualche ordine superiore divino o pagano. Credo nel lavoro e nella testardaggine, nella disciplina e nella capacità di resistenza, nella motivazione e nella passione. Però è singolare come questo 14 aprile sia così tanto simile a quello dell’anno scorso, anche se sto andando a Brescia e non in America, anche se sto andando a insegnare invece che a imparare.

Mi sento piccolo piccolo come allora, a metà strada tra il “cosa ci faccio qui” e il “che figata”. Ripenso a una conversazione di stamattina con una delle persone che stimo di più dal punto di vista professionale (e a cui inizio ad affezionarmi assai), che mi dice “ho fatto il tuo nome al mio capo” (e vi assicuro che “il suo capo” è uno di quei “capi” da far girare la testa). Anche se questo contatto non porterà a nulla, è stata comunque una notizia fantastica, che almeno per oggi, mi fa sentire speciale. Piccolo e speciale.

p.s. domani papà compie gli anni. Papà, grazie. Questo post è dedicato a te.

Fotografia del 5 maggio 2013 – Io, tre settimane dopo

5 Mag

Ad alcuni di voi potrà sembrare assurdo, ma la domanda più ricorrente che mi sono posto durante queste tre settimane americane è stata la seguente: “E se fosse stato il punto più alto della mia carriera professionale? E se non raggiungessi più questi livelli?”

Oggi, a caldo, vi risponderei che sì, io penso che potrebbe essere. E provo a spiegarvi il perché.

Ho vissuto questa enorme opportunità come l’ultimo “premio” per una fase della mia vita che di fatto si è conclusa qualche mese fa. Fra qualche mese si voterà alle amministrative a Bari. Cinque anni fa, proprio da quella campagna elettorale, iniziava una stagione irripetibile della mia vita. Una stagione di sogni, di gioventù, di grandi colpi, di incoscienza. Queste quattro parole non mi appartengono più, o comunque non come allora.

(si parla di questioni professionali, eh)

Alcuni sogni, per fortuna, si sono realizzati: per tutti gli altri tendo a pensare che o non sono in grado di raggiungerli per miei limiti, o che non è il momento di pensarci troppo visto che oggi, attorno a me, si fa fatica semplicemente a continuare ad avere ciò che si ha, o che alcuni di questi sogni in realtà hanno ben poco con l’aspetto onirico: bisogna solo farsi nel mazzo.

Sulla gioventù il discorso è più complicato. A marzo compio 30 anni: continuerò a indossare i bermuda e le t-shirt cretine e nel limite del possibile difenderò il mio diritto di farlo (è una libertà che può sembrare effimera, e probabilmente lo è davvero, ma io ci tengo molto), ma non posso nascondere a me stesso che più passa il tempo, più questo lato da cazzone (simbolo di una mia tendenza generale alla strafottenza) sarà sempre meno tollerato, perché sarà ritenuto sempre più fuori luogo nei luoghi di lavoro e di socializzazione.

Questo non vuol dire che mi vedrete improvvisamente impeccabile (anche perché mi scoccio), ma devo aspettarmi che qualcuno mi faccia notare, prima o poi, che la festa è finita. O che comunque qualcuno potrebbe giudicarmi per gli abiti e non per le idee (se non è già successo). Sarà un caso, ma questo viaggio in America è stato il primo con la cravatta, a prova che ci sono certe aspettative sociali da cui non so fino a quando potrò sfuggire (finché potrò, di sicuro, lo farò). E comunque, per quanto possa essere ancora giovane per il mio Paese, sono adulto in tutto il resto del mondo, e in ogni caso sono fatalmente molto meno giovane rispetto a 5 anni fa.

Come dice qualcuno, e non si sbaglia, sono già vecchio dentro.

I grandi colpi del mio lavoro non saranno più grandi come in passato, non perché non meritano di essere considerati tali, ma perché non sono più novità. Avendo contribuito alla vittoria in qualche campagna elettorale, avendo ottenuto qualche buon successo professionale, sono passato alla fase in cui la notizia è il fallimento, non il successo. Come per le squadre abituate a vincere nello sport, mantenere questo ritmo è solo il minimo indispensabile, è comunque ciò che gli altri si aspettano da me. Ciò non toglie che ci siano brividi di gioia enormi (mi sono goduto la vittoria di Debora Serracchiani direttamente nel Minnesota, ed è stata una gioia purissima, come raramente mi è capitato di provarne, viste le difficoltà in cui abbiamo lavorato), ma non ho più il vantaggio di essere percepito come un outsider, per quanto mi senta sempre più un battitore libero (sebbene mi sia chiesto di fare il percorso esattamente opposto).

Incoscienza: non me la posso più permettere. Ho imparato, ho preso mazzate, ho fatto errori, ho fatto danni. Essere adulti vuol dire anche non poter sbagliare più, o poter sbagliare sempre meno. Ogni tanto penso ai 13500 follower che ho su Twitter, più tutta la gente che mi segue su Facebook, sul blog, agli eventi, ovunque. Tutto questo non mi rende più figo, ma mi obbliga a un rigore sempre crescente, perché se sbagli una virgola non hai scampo, te lo fanno giustamente notare. Se c’è una parola che non mi appartiene più, questa è sicuramente “incoscienza”.

Ma si può arrivare dove sono arrivato avendo trasformato il sogno in razionalità, senza la freschezza della gioventù, senza il lusso dei grandi colpi, senza incoscienza? Io dico di no. Ed è per questo che penso stia iniziando un altro periodo della mia vita, non meno nobile, ma con un altro tono.

Mi sento come un passista del ciclismo, un tipo di atleta che non a caso mi è sempre piaciuto. Va piano in salita, sulle grandi montagne, ma sa pedalare da solo per lunghi tratti di pianura. Ha regolarità e spirito di sacrificio.

Gli Stati Uniti sono stati il mio Mortirolo (mitica montagna del Giro d’Italia). Il periodo più importante del mio anno lavorativo, forse persino della mia vita lavorativa, ma adesso le montagne sono finite, c’è da pedalare controvento, spesso in solitudine, e c’è da continuare con la gavetta.

La mia gavetta è ancora nel pieno e durerà fino a quando non raggiungerò il mio sogno (perché uno continuo ad averlo): vivere scrivendo, e scrivendo quello che mi pare (ammesso che interessi a qualcuno). Baratterei volentieri il successo con la libertà, il denaro con l’indipendenza. Ma è un percorso lungo, difficile, e non luccica come un viaggio in America.

p.s. ringrazio Jamie, il professionista che a Denver è venuto da noi a fare una riunione in hotel alle 7 del mattino. L’ho enormemente ammirato per la dedizione, ma soprattutto mi ha dato una lezione di vita. Io non so se farei mai una cosa del genere, se la farò mai nella vita, non so se ho quella voglia, quell’energia. Non so se voglio dormire solo tre ore a notte. Probabilmente il successo è quella cosa lì, è la vita di Jamie. E non è la mia. Io ho deciso che voglio provare a essere felice, e la felicità non coincide col successo (per quanto viviamo in un mondo che tenta in tutti i modi di costringerci a questa equazione). La mia felicità sono le cose che mi sono mancate mentre ero negli Stati Uniti: la vita ritirata in città, la vita serena in campagna, il mare, gli spaghetti con le cozze, il caffè al mattino con papà, impegnarmi per rendere felici le persone che amo. Il resto mi interessa sempre meno.

Torno a casa

4 Mag

Mi concedo l’onore di rassegnarmi
solo questa notte
come riposo
domattina presto aprirò gli occhi
sarò un’altra volta coraggioso e ordinario
ribelle con le mani in tasca
eterno con la morte all’occhiello
solo in questa notte priva di luna
credere di andare
credere di venire
credere che il mio cuore non potrà mai più
aumentare in dimensione e nostalgie
solo questa notte
per favore
per pietà
sentirmi vinto
umile
devastato
fatto e disfatto con avanzi di Dio
qui a sognare senza permesso
a mentire senza speranza
ma sapendo che si tratta
solo di questa notte sterile e unica
domani alle sette aprirò gli occhi
e un’altra volta mi darò da fare senza lamentarmi
e ascolterò il frastuono universale
senza che m’ingannino rumori secondari.

(Mario Benedetti)

Prossimi: Cina, Italia, Germania

7 Nov

Come fanno gli Stati Uniti a essere il paese più conservatore e mercantile e, contemporaneamente, la società più rivoluzionaria della Terra?

 

(Christopher Hitchens)