Io parlo e parlo e parlo, e in cinquant’anni non ho insegnato alla gente quello che mio padre mi mostrava con l’esempio in una settimana.
(Mario Cuomo)
(Mario Cuomo)
(Giovanni Trapattoni)
Potrei avere paura.
È il mio primo viaggio di lavoro (e ora che ci penso, è il mio primo viaggio in assoluto) all’estero da solo.
Un viaggio, tra l’altro, non banale, in un posto non banale e in giornate non banali. Domani è 11 settembre, dopodomani sapremo se la Corte Costituzionale tedesca ritiene ammissibile il fondo salva-Stati. Sono anni che è sempre la settimana decisiva per il futuro dell’Euro, ma questa volta, forse, lo è un po’ di più. E avrò un osservatorio diverso per poterlo raccontare.
È la mia prima settimana di lavoro in cui sto fuori sette giorni su sette, dalle sei di stamattina alle nove di sera di domenica. Ci si muove tra sbalzi di temperatura (13 chili di valigia però sono troppi, lo so), tra sbalzi di contesti, di responsabilità.
Potrei avere paura degli accidenti che possono succedere quando in sette giorni si prendono quattro aerei e tre treni. Potrei avere paura di non capire la domanda posta dal mio interlocutore, specie quando dovesse essere molto più competente di me. Ma potrei avere persino paura di non sapere come chiedere la wireless in albergo, o come gestire la pur minima seccatura in un Paese, la Francia, di cui non conosco la lingua madre.
Potrei avere paura di essere scarsamente coperto durante la pioggia prevista per questi giorni. Potrei aver paura di scrivere cose banali. Potrei avere paura di aver scritto un paper inconsistente. Potrei aver paura di beccarmi la febbre. Se ti esponi rischi. E il rischio certe volte spaventa.
Potrei, ma non voglio. Se avessi paura non mi metterei alla prova. Se non mi mettessi alla prova non supererei i miei limiti. Se non superassi i miei limiti sarei ancora più provinciale di quanto già non lo sia.
Potrei emozionarmi, ma ho troppo sonno per poterlo fare.
Dunque vado. E basta.