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Fotografia di fine 2013 – Il mio unico proposito per il 2014

27 Dic

Ogni volta che abbandono un anno solare per arrivare in quello successivo decido di impegnarmi per perseguire un mio personale obiettivo di metodo.

Il 2013, nelle mie intenzioni, doveva essere l’anno della qualità. Dovevo sfrondare e limitarmi a ciò che valeva davvero. Sono abbastanza soddisfatto del risultato finale, ma mi sento comunque in hangover.

Ho fatto troppo di tutto. Di cose belle e di cose brutte. Sono andato troppo forte. Ho troppe volte aggiornato i miei limiti al rialzo. Può andar bene un anno, ogni tanto, da “giovani”, ma non può funzionare come stile di vita. Anche perché, se brucio tutto ora, poi non avrò più stimoli, ambizioni, desideri forti. E senza passione nelle cose che faccio, io di fatto non funziono. La gioia che ho provato oggi nell’andare a fare la spesa, l’aiutare Manu per una parte infinitesimale, è un segnale troppo forte per poter essere ignorato: ho una fottuta voglia di normalità, di stare in pantofole e sparire dalla circolazione (ancor di più, direbbe qualcuno).

C’è stato un passaggio interessante alla fine di quest’anno: il silenzio che mi sono autoimposto durante la campagna elettorale di Renzi. Quel silenzio, come quasi tutte le forme di disciplina, mi ha dato una lezione profondissima e che di fatto mi ha suggerito cosa voglio dall’anno prossimo.

Tante volte mi sono autocensurato dopo aver scritto qualcosa. Dovevo solo spingere invio e non l’ho fatto. Mi fermavo, perché mi rendevo conto che stavo violando una regola che mi ero imposto. Non vi nascondo che è stato faticoso, e sarà sempre faticoso soprattutto per chi, come me, mira in modo un po’ (troppo) idealista alla piena libertà, in particolare di espressione. Allo stesso tempo rifarei tutto, perché è stato giusto, per la mia reputazione di professionista e la mia dignità di persona.

Ma rifarei tutto soprattutto per un motivo. Molto spesso, pochi minuti dopo aver deciso di non condividere le mie emozioni e i miei pensieri con il mondo, pensavo tra me e me: “Ma chi ti caca?” “Ma che tono hai?” “Ma non pensi che a furia di pontificare diventerai insopportabile?”. Se mi posso permettere un consiglio di gestione dei propri spazi sui social media, direi che tutto ciò che può indurre di voi stessi a pensare: “Hai rotto il cazzo” può essere tranquillamente cestinato.

Parallelamente, ho ripensato a tutto ciò che ho scritto, detto, analizzato, discusso, riflettuto, elaborato, e ho ripensato a tutto il lavoro di scrittura, pensiero, analisi, discussione, riflessione che ogni giorno, a ogni ora, è prodotto in Italia da autorevoli menti e da uomini della strada di ogni forma e dignità. Poi ho riflettuto sul rapporto tra l’elaborazione e la realtà e ho pensato che ci siamo detti tante cose, ma che tutto quello che ci siamo detti ha inciso veramente molto poco sul presente e sul futuro dell’Italia, o comunque dei posti dove siamo, viviamo, cerchiamo la felicità.
Dunque, parallelamente a “Hai rotto il cazzo” è emerso un altro elemento di autoregolazione: “Ma a che serve dirlo?”. Se la risposta è “a niente”, come la stragrande maggioranza delle cose che diciamo, forse sarà il caso di fare meno rumore.

Eccoci qua. Il mio proposito del 2014 è fare meno rumore. Esserci meno. Non esserci proprio. In teoria dovrei fare il contrario: il 2013 è stato un anno eccellente dal punto di vista professionale, dovrei insistere, dovrei battere il ferro. In fondo arrivo a 30 anni, è ora che mi gioco la carriera, che devo porre le basi per costruire il resto della mia vita. E invece no, proprio non mi viene. Non so dirvi se è semplice stanchezza (e consapevolezza che il 2014 sarà tosto almeno come il 2013. Bisogna risparmiare la gamba, come nelle maratone), se è disillusione, se sono cambiate le priorità, se è l’inizio di una crisi depressiva, se è crescita fisiologica, se è consapevolezza dei propri limiti. Ma questo sono io ora, e questo voglio essere io, almeno per il prossimo anno.

Fallirò in parte o del tutto, come è ovvio. Alla fine scriverò, perché senza scrivere sto meno bene. Prenderò posizione quando posso, perché fare il terzista non mi riesce proprio. Ma cercherò di amare e non rompere il cazzo (citando una meravigliosa frase incrociata quest’anno) nel migliore dei modi possibili.

Chiedo anticipatamente scusa a chi non condivide, a chi mi troverà (ancora) più noioso, a chi pensa che io non me lo possa permettere. E chiedo scusa in ritardo a chi mi conosce e pensa da tempo che avrei dovuto prendere questa strada. Dai che ci sono arrivato, quasi da solo.

Buon 2014. Enjoy the silence.

Fotografia del 2 settembre 2013 – Dieci fotografie che riporto a casa dopo l’estate

2 Set

1. Cade definitivamente un grande mito con cui ho cercato di giustificare alcuni miei strappi lavorativi: “tanto ad agosto mi riposo, dormo, recupero”. La mia fantastica vita e il mio fantastico lavoro non prevedono momenti di tregua, fino a quando sarò così determinato a coltivare l’ambizione di far bene ciò che faccio. In fondo lo sapevo, l’estate scorsa avevo avuto le prime inequivocabili avvisaglie, ho voluto ignorarle da inguaribile ottimista. Non funziona. Ora è davvero ufficiale. Alzo bandiera bianca, con serena rassegnazione (più serena che rassegnazione) fino a nuove disposizioni.

2. Il punto 1 non poteva che essere in cima alla lista perché ha portato una serie di riflessioni a cascata. A differenza degli ultimi agosti, in cui andavo a cercare risposte esistenziali su me stesso, su quello che volessi fare da grande, sulle priorità della vita (sfruttando uno dei grandi lussi dell’estate: poter pensare), questa volta mi sono avvicinato alle vacanze con ambizioni molto più modeste: volevo stare bene con le persone giuste. Obiettivo raggiunto. Nel frattempo però ho realizzato cos’è, per me, il significato della parola “vacanza”. Contrariamente ai teorici del “stacco”, “spengo il cervello”, “non tocco Facebook per tre settimane” (ma perché, vi costringono durante il resto dell’anno?), le mie vacanze sono quei momenti, quelle ore, quei giorni in cui posso decidere liberamente come passare il mio tempo. Senza dover dar conto a nulla e a nessuno. Poter scegliere: queste sono le mie ferie. E dunque devo rimodulare la mia vita, cercando di andare in ferie qualche minuto al giorno, tutti i giorni della mia vita, evitando di confidare in qualche presunta ancora di salvezza temporalmente definita in momenti dell’anno in cui, peraltro, si suda da fermi.

3. Ma passiamo alle cose serie. Dopo almeno cinque anni ho fatto un bagno al mare con mamma e papà e mi sono divertito tantissimo. La cosa più bella, così bella che quasi mi metto a piangere qui davanti allo schermo nel raccontarvela, è che si sono messi a parlare di un libro che ho comprato e che non ho ancora iniziato a leggere. Si chiama “Dio non è grande”, di Christopher Hitchens. Papà non crede, io nemmeno, mamma sì. Ne è venuto fuori un dibattito stupendo, con papà che sottolineava la durezza degli argomenti di Hitch e mamma che ribadiva quanto quel libro fosse illuminante sulle grandi truffe delle religioni nel mondo, e quanto allo stesso tempo quella lettura così distruttiva rinforzasse la sua fede, invece che indebolirla. So di essere tremendamente fortunato ad avere una famiglia così e chiedo scusa se ogni tanto lo faccio emergere così tanto.

4. Non ho toccato la Playstation neanche quest’anno. Che merda. Autoinganno la mia deriva anzianoide pensando al videoproiettore a Villa Frisola per i Mondiali di calcio 2014 (sì, abbiamo rinnovato l’affitto fino al 31 agosto 2014. E io ho passato molte ore a spiegare a tutti gli ospiti quanto questo affitto mi abbia migliorato la vita)

5. Lo sport ufficiale dell’estate 2013? Le bocce, senza dubbio. Giocateci senza indugio. Pare che in Francia sia molto cool. E poi “la bocciofila” è “la casalinga di Voghera” di sinistra. (noi siamo stati post-ideologici e abbiamo comprato sia Chi che Vanity Fair, tutte le settimane). Se ci sono singoli o squadre che hanno paura a rivelare le loro passioni per il gioco delle bocce, sappiate che qui trovate massima apertura e condivisione affettiva.

6. Il volto degli ospiti, specie se extra-Puglia, che vengono da noi a pranzo o a cena e vengono letteralmente invasi di cibo esageratamente buono vale, da solo, la prospettiva di rifarlo con uguale passione e uguale mole inumana di antipasti anche nel 2014. A tal proposito, essendo io capace solo di mangiare e di guidare in direzione del supermercato, ringrazio vivamente tutti i miei coinquilini che hanno preparato la brace, lavato i piatti, sfornato muffin e pancake, fritto melanzane per la parmigiana, scelto con piacere l’Amaro dei Trulli come digestivo.

7. A tal proposito, certifico la vera nota dolente della stagione 2012-2013: ho preso tra i cinque e i sei chili, superando gli 80 chili per la prima volta nella mia vita. E la certifico mentre mangio taralli seduto alla scrivania, dopo aver saltato il pranzo. In questa descrizione c’è sia la domanda che la risposta, e persino un accenno di soluzione del problema. Servirà tanta disciplina.

8. Senza fare troppi giri di parole: il maestrale ha rotto il cazzo.

9. C’è una cosa positiva dell’essere tornati in città: oggi ho ascoltato la BBC in streaming e ho visto qualche video su Youtube senza avere l’ansia che i giga di traffico mensili del cellulare mi lasciassero a piedi da un momento all’altro.

10. Per chiudere: se mi dicessero che esiste un lavoro in cui si deve stare al computer, possibilmente a scrivere (e a studiare, sennò si scrivono cose stupidi o, peggio ancora, inutili), e si può fare in campagna per cinque mesi l’anno (diciamo maggio-ottobre), in cui si può non rispondere mai al telefono (in cambio della garanzia della risposta immediata alle mail), e in cui ci si può svegliare e andare a dormire quando si ha voglia (garantendo in cambio un carico di lavoro tra le 40 e le 50 ore settimanali) stringerei la mano a chi può farlo, complimentandosi con lui per l’ottima scelta.

Fotografia del 26 agosto 2012 – I fagioli (appunti per la stagione 2012-2013)

26 Ago

(post scritto il 13 agosto)

Da quando ho un blog ho sempre fatto iniziare le mie stagioni (sì, stagioni, le intendo calcisticamente: iniziano a fine agosto e finiscono a inizio agosto, se va bene) con una lista di cose che mi sarebbe piaciuto fare, di aspettative e di bisogni. Quest’anno, per la prima volta, non lo farò.

Tutto nasce da una domanda che ci siamo fatti nello splendido e cristallino mare di Gallipoli: “Ma tu saresti pronto a mangiare un piatto di fagioli dallo stesso piatto?*”. È una domanda iperbolica, che rievoca scenari post-bellici, o pre-digitali. Che tira in ballo i genitori, i nonni, la loro umiltà, il loro modo di produrre ricchezza facendo cose che oggi noi riteniamo degradanti.

Sarà pure un’iperbole, ma in questa domanda io ci ho visto una lucidissima e concreta preoccupazione.

È la prima volta in cui la mia ambizione è tutta difensiva. Sarei contento di finire l’anno esattamente nel punto dove lo sto iniziando. Non voglio un briciolo di più. Se avessi qualche briciolo di meno non potrei prenderlo come una sconfitta personale, ma come la risultante di quel segno meno che da oramai un anno cifra i dati della nostra economia.

Ho rinviato di un anno ogni decisione netta (o meglio, ogni riflessione su eventuali decisioni nette: in fondo sono un conservatore quando si parla di me stesso), anche perché l’anno si è già attrezzato per essere faticoso, impegnativo. Servirà la regolarità dei grandi passisti delle classiche delle Fiandre.

La crisi è arrivata alle porte, anche alle mie, anche alle nostre. Bussa. È spesso irrazionale, dunque è difficilmente contrastabile. Se ci fosse una sequenza logica che porta a trovare la soluzione a un problema, sarebbe meno spaventosa. E se bussa anche alla mia, alla nostra porta, che sembrava tutto sommato solida fino a qualche tempo fa, non si può non pensare a quanto rumorosa, chiassosa, invadente, stordente sia nelle case, davanti alle porte, nelle stanze incerte e malconce di tanta Italia, che paga (mi riferisco ai cittadini, ai cittadini cronicamente poveri) un prezzo troppo alto per i suoi demeriti.

Sorrido pensando a tutte le parole meravigliose raccolte in questi anni. Sei bravo, sei bravissimo, sei un grande, farai carriera. Più me le dicono e meno ci credo. Complimenti che oggi suonano beffardi, che soprattutto non valgono niente. Restano atti meravigliosi (soprattutto quelli sinceri), ma non rappresentano un elemento di conforto, al massimo la riprova che certe volte essere efficienti non è più sufficiente. Serve talento, quello vero, quello che risplende, o un calcio in culo. E io non ho certamente il primo, e provo a passare la vita evitando di dover ricorrere al secondo (ammesso che ci sia qualcuno disposto a piazzare la sua suola sul mio deretano obbligandomi a essergli riconoscente per tutta la vita).

Poi può succedere di tutto. La vita può anche dare un colpo di coda positivo, può andare molto meglio di come sembra. O anche molto peggio. Io proseguo facendo l’unica cosa che so fare (credo): lavorare.

A tal proposito. Mamma mi ha sempre detto, scherzando ma mica tanto: “da grande dovevi fare l’idraulico, il meccanico o il carrozziere”. Superata l’ansia da indispensabilità (il mondo va avanti anche senza di me, e ci mancherebbe altro) adesso devo, come tutti i ‘lavoratori della conoscenza’, della ‘creatività’, del ‘terziario avanzato’ e tutte queste formule molto belle da dire, confrontarmi con la non necessità. Un mondo senza pubblicitari, senza scrittori, senza analisi potrebbe ugualmente andare avanti, magari con meno lucidità, meno felicità, meno serenità.

Un mondo senza idraulici o meccanici si fermerebbe. La crisi presenta anche questo genere di conti. Implacabili, giusti, freddi. Vado. Aereo, treno, neuroni, sabato, domenica, lezioni, elezioni. Ad agosto 2013 sarà tutto diverso. O sarà tutto uguale. E saremo di nuovo in difesa. A difenderci da non si capisce bene chi, da non si capisce bene cosa. Mangiando fagioli. E cozze.

*alla domanda ho risposto che sono assolutamente pronto e che ricominciare da zero, nell’eventualità, non mi spaventa per niente. Al contrario.

Titoli di Stato a 12 mesi

16 Feb

Migliorare è cambiare; essere perfetti è cambiare spesso.

 

(Winston Churchill)

Il diciannovennio

8 Lug

A 77 anni non posso più fare il Presidente del Consiglio.

 

(Silvio Berlusconi)