A un certo punto ho creduto di poter essere io il granello di sabbia nell’ingranaggio. Il ribelle nel ventre ancora fecondo della bestia […] i sessantottini hanno iniziato con la rivoluzione e sono passati alla pubblicità, io volevo fare il contrario.
Quell’espressione un po’ idiota su cui per anni si è imperniata ogni campagna di promozione della lettura – “il piacere di leggere” – non ha fatto che evidenziare l’autoreferenzialità del mondo editoriale. I veri piaceri non hanno bisogno di pubblicità.
Sono un pubblicitario, non ho un albo che mi tuteli, non ho tariffe minime e qualunque coglionazzo con un portatile può aprire uno studio accanto al mio e scrivere sulla targa “esperto di marketing e comunicazione”. Mi lamento? No. Mi guadagno da vivere semplicemente facendo il mio lavoro nel modo migliore possibile.
La pubblicità ci mette nell’invidiabile posizione di desiderare auto e vestiti, ma soprattutto possiamo ammazzarci in lavori che odiamo per poterci comprare idiozie che non ci servono affatto.
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