La prima vittoria che propongo ai miei giocatori, e che pongo a me stesso, è battere un nemico terribile, anche perché si nasconde, anche perché noi non lo vogliamo mai affrontare, che di solito ci fa più paura anche dell’avversario più forte. E questo avversario sono i nostri difetti, i nostri limiti, le cose che non ci vengono bene, che non ci piacciono. Questa è la prima vittoria, perché se non si vince questa gara non c’è miglioramento, cioè aumento della qualità.
Non è che io mi astenga dallo schierarmi. È solo che provo un profondo biasimo per chiunque cerchi di imporre la propria morale agli altri. E potete sostituire la parola “morale” con religione, fede informatica o altro ancora.
Io, in quanto tecnico, so che la tecnologia non trasforma un bel niente. È la società a cambiare la tecnologia, e non il contrario. La tecnologia pone solo i limiti di ciò che possiamo fare e di quanto ci costa farlo.
Le nostre armi sono la mente ironica contro quella letterale, la mente aperta contro i creduloni, la coraggiosa ricerca della verità contro le impaurite ed abiette forze che pongono limiti all’indagine.
Qualche giorno fa ho visto l’eccezionale documentario di Paolo Virzì su Bobo Rondelli, “L’uomo che aveva picchiato la testa.”
Per me è stata una visione pedagogica e anche medica. Mi è servita tantissimo perché ha accelerato di colpo processi che già sedimentano da mesi nella mia testa.
Bobo Rondelli è un cantautore di Livorno bravo, bravissimo, unico. Ma non ha mai sfondato. Il documentario, di fatto, cerca di indagarne le ragioni all’interno del racconto biografico.
Mi sono riconosciuto più di una volta con il percorso di vita di Bobo pur avendo un milionesimo del suo talento e della sua vita avventurosa. Ma mi è bastato per capire.
Proprio il fatto che una persona con un talento di un milione più grande del mio non sia riuscito a sfondare e forse non abbia davvero voluto mi ha fatto capire che i limiti caratteriali sono decisivi per il (mancato) successo.
I miei limiti sono grandi. Troppo grandi. Così grandi da farmi pensare che arriverò a breve a una soglia, non molto alta, e non riuscirò ad andare oltre. Certe volte penso che sia già arrivato al picco, al massimo mi manterrò su questi livelli, curerò i dettagli. Anche perché quello che per gli altri è limite, per me è spesso un motivo di orgoglio.
Non farò carriera perché:
– mi rendo conto di avere dei limiti. Di solito quando uno si rende conto di una cosa del genere lavora per superarli, specie se li ritiene disadattivi. Però se ci penso, penso che in fondo io non li percepisco come limiti. Anzi, per me sono conquiste costruite negli anni in cui piano piano ho imparato ad ascoltarmi e a rispettarmi di più.
– Tra le mie conquiste ritengo ci possa essere la progressiva rinuncia alla diplomazia nelle relazioni. Sto imparando a non tenermi più niente. Ecco: per il mondo questo è un limite, un evidente limite relazionale. E probabilmente il mondo ha ragione a pensarla così. Io però mi sento meglio, sempre meglio, sempre più libero. Mi sento me stesso. E allora penso: perché dovrei cambiare? Nel frattempo il mondo gira nella direzione opposta.
– Ne discende che non riesco più ad accettare formule di compromesso, soprattutto per ciò che riguarda la mia vita professionale, i valori, ciò in cui credo. Ma senza compromesso il mondo è rabbioso, riottoso, confuso. Alla domanda: “Perché non fai politica?” rispondo parlando sempre di questo mio limite. Perché penso di non essere in grado di sedermi a un tavolo e accettare ciò che mi dicono tutte le volte. Altro motivo per cui non posso fare passi in avanti, al massimo posso solo curare l’estetica di ciò che ho già conquistato. Tra l’altro questa del non-compromesso è una doppia trappola, un altro motivo per cui sono destinato a rimanere bloccato, perché ostentare una cosa del genere vuol dire che al primo errore sei fottuto. Ed essendo umano, posso sbagliare. Anzi, sbaglierò di sicuro. Farò qualche scelta di comodo, per coccolare l’ego o perché guarderò la pagliuzza invece di guardare la trave. Perché non saprò valutare. A quel punto sarò doppiamente ipocrita agli occhi di chi mi guarda.
– A proposito di ipocrisia, non la sopporto più. Mi incazzo proprio. Non dovrei. Il mondo si regge sull’ipocrisia, che in molti casi è persino un valore. Senza i sorrisi di circostanza molte relazioni umane e professionali sarebbero già naufragate, con esiti disastrosi per la vita quotidiana delle persone, delle comunità, delle società. Però preferisco sparire che sorridere a chi non mi fa sorridere e soprattutto a chi non mi stima. Non voglio obbligare nessuno a essere ipocrita con me. E così mi isolo e rinuncio alle strette di mano, alle birre, alle pacche sulle spalle che magari mi farebbero andare avanti molto più di ciò che posso ottenere con il lavoro. Sia chiaro, grandissima stima a chi ha la faccia da culo: è giusto che loro vadano avanti nella vita e io no.
– Ho deciso di restare qui a Bari. E ci sto anche oggi che ha molto meno senso di tre, due, un anno fa. Vivo in una città che non sento più mia da tempo (con la certezza di essere ricambiato) ma alla fine penso che non potrei che stare qui. Voglio provare a far qualcosa, a generare un qualche processo di cambiamento, anche se credo sempre di meno di essere all’altezza. Mi basta un computer e una connessione a Internet, poi posso stare qua per tutta la vita. Però la vita vera non è qui, è a Roma, a Milano, all’estero. Sono un ragazzotto di provincia. E mi piace tantissimo.
– Mi piace prendere posizione su ciò che mi accade, su ciò che vedo, su ciò che sento. Non mi tiro indietro. Su Facebook e su Twitter lo hanno capito e spesso mi coinvolgono. Potrò imparare mille tecniche per non espormi, ma i social media sono implacabili: c’è il mio nome e il mio cognome. Se si parla di politica, di economia, di creatività, delle cose che faccio di mestiere e si fa tutti i giorni fatalmente si scriverà qualcosa che fa incazzare qualcuno, che porta a disistimarti, o semplicemente a non voler lavorare con te. Anche se sei bravo, anche se te lo dovessi meritare. Tecnicamente, sali sul cazzo a tutti, invece di farti apprezzare da tutti per il coraggio.
– e soprattutto, non farò carriera perché scrivo post del genere.
p.s. non ho scritto per farmi dire “No Dino, non è così, tu sei bravo, ci riuscirai”. Anche perché non c’è alcuna parola che possa convincermi del contrario. Sto bene così, non ho bisogno di conforto.
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